L'usignolo innamorato (Fiaba n°2)

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  • E’ bellissimo, col blu notte dell’Agosto, camminare per la campagna.
      A volte basta appena uno spicchio di luna per far brillare la strada. Oppure aspettare la luna piena per spegnere le stelle, illuminare il terreno e oscurare il resto della volta celeste.
       Fu proprio in una notte d’agosto che Gillo conobbe la storia dell’usignolo innamorato. Di queste nottate giovanili, nei campi, Gillo aveva ricordi lucidissimi. Allora gli era normale camminare al canto di un usignolo. In mezzo alla boscaglia, l’usignolo si spegneva, quando i passi gli erano vicini, ma si riaccendeva subito una volta lontani.
      Quella sera i suoi trilli gli apparvero strani e così dubitò che si trattasse veramente d’un usignolo.
       “Tata … ma questo è l’usignolo?”, chiese mentre andavano a dormire al Pantaniccio e lui era ancora un piccolo bambino.
       “Sì sì, questo è proprio l’usignolo: lui non si stanca mai, canta tutta la notte.”
       “Tata, è possibile che sia sempre uno solo a cantare? Non pensi che si dà il cambio con altri?”
    “No, Gillo. Ogni usignolo ha il suo albero e se non è infastidito, canta tutta la notte. Lui non smette mai di cantare. Lo sai cosa dice il ritornello del suo canto?”
       “No, Tata, davvero il suo canto racconta qualcosa?”
       “Di padre in figlio si tramandano l’insegnamento di un loro antico nonno, sembra che fosse un usignolo particolarmente romantico. Questo nonno, da giovane, s’innamorò perdutamente di
  • una femmina di belle movenze e particolarmente affascinante.
      Era femmina fatale e lo faceva impazzire.
       Lui cercava di avvicinarla, ma lei immancabilmente lo lasciava solo. Prendeva posizione in un ramo vicino a lei, ma appena lui iniziava a cantare il suo amore, lei svolazzava via su un altro albero. Allora la inseguiva e non appena ricominciava il canto, lei lo lasciava di stucco per andare chissà dove.
       Era innamoratissimo e non aveva alcuna intenzione di abbandonare l’impresa. Non si dette per vinto.
      Una volta il suo corteggiamento fu tanto asfissiante che lei si sentì costretta a non muoversi. Fu notte argentata di silenzio e di luna piena quando decise di ascoltare la dichiarazione d’amore del suo romanticissimo pretendente.
       “Tata, mi dici come andò a finire?”
       “Si certo, ma fammi almeno respirare…. La sua bella non era facile da conquistare e l’usignolo lo aveva ben capito. Questa, però, era l’occasione giusta e doveva farle sentire tutto il suo grande affetto. Svolazzando, qui e là, trovò il posto adatto e si accomodò su un rametto di vite selvatica. Iniziò subito con un dolcissimo sottovoce, poi continuò in un crescendo ossessivo e martellante di squilli e gorgheggi. Infine, quando ebbe la percezione di averla convinta ad accettare il suo corteggiamento, dette il via al suo pezzo forte: un notturno."
       Un canto notturno è più di una semplice serenata… infatti lui intonò una delicatissima sinfonia notturna. Lei fu sorpresa, ammaliata,
  • quasi stregata da quelle modulazioni straordinarie ed ipnotizzanti.
       L’usignolo si rese conto di aver colpito la sua fantasia e, visto l’inaspettato gradimento della sua bellissima femmina, continuò a cantare
      . Cantò… e cantò ancora…Continuò a cantare ininterrottamente tutta la notte! “
       “Accidenti!” esclamò Gillo. Il padre neppure lo sentì e continuò a raccontare.
       “Lei era lì ad ascoltarlo. Seguiva il suo canto come paralizzata. Quando il tenue rosa dell’alba iniziò a sostituire il blu della notte, il formidabile cantore decise di passare all'azione. Quello era il momento giusto per avvicinarsi a lei. Con grande sorpresa, al suo batter d’ali, non seguì alcun movimento! Non riusciva a volare, si sentiva come legato. Provando e riprovando con maggiore intensità non riuscì ugualmente a svolazzare. Infine, quando la luce del giorno filtrò nella boscaglia, si accorse che un tralcio di vite gli si era attorcigliato intorno a una zampa. Era rimasto talmente a lungo fermo a cantare che, nella notte, un pampino della vite gli era cresciuto attorno ad una zampa ed ora lo tratteneva avvinghiato.”
       Gillo non disse una parola. Era stregato e attendeva la fine del racconto.
       “Vedi Gillo,” -lo scosse il padre- “questa è la storia dell’usignolo innamorato, ma il finale si complica con due versioni discordi. Qualcuno dice che la vite lo aveva aggrappato per punirlo della sua superbia avendo infastidito gli abitanti della boscaglia
  • per l’intera notte. C’è, invece, chi sostiene l’opposto; la vite era rimasta così colpita dalla bellezza di quel gorgheggio che non voleva più lasciarlo andar via. L’aveva imprigionato per non privarsi del suo canto meraviglioso. Io sono convinto che le cose andarono proprio così. Mah! Qualunque fosse il motivo, un fatto è certo: la storia ebbe un lieto fine.
       La sua amata si precipitò sul rametto e iniziò a beccare il pampino fino a liberargli la zampa.
       Così volarono via felici, e insieme andarono a visitare tutti i conoscenti per informarli del loro amore. Ebbero tanti figli e tanti nipotini e a tutti raccontò la loro storia d’amore.
    A ognuno insegnò il suo canto perfezionato con un avvertimento:

        “mi posai sull’albero sbagliato
        e se… se… se… se… se… se… se
         se l’avessi- saputo-non-mi-ci-sarei fermato
        se… se… se… se… se… se… se
         se l’avessi- saputo-non-ci-avrei cantato “

      Questo è, infatti, l’avviso contenuto nel ritornello di ogni usignolo.
       Da allora, mai più nessuno di loro rimase prigioniero di un tralcio.
    Gillo era ancora piccolo e non sapeva bene cosa significasse essere innamorati, ma il pensiero di una bellissima femmina d’usignolo lo colpì ancor più.







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