Guido Mariani
Stringimi Forte Forte Forte
Copertine Libro
Guido Mariani
Stringimi Forte Forte Forte
2018
Indice
Capitolo I
Zì’ Peppino............................................................................5
Capitolo II
Castagne e Marroni..............................................................19
Capitolo III
Gillo fa capolino nel mercato delle castagne.......................31
Capitolo IV
Un Natale particolare quello del 1925.................................47
Capitolo V
Epifania 1927.......................................................................63
Capitolo VI
La sfida................................................................................85
Capitolo VII
Gillo, Leone e il falco........................................................101
Capitolo VIII
Cinque anni in una sola notte............................................113
Capitolo IX
La separazione..................................................................127
Capitolo X
Lontana dagli occhi vicina al cuore..................................139
Capitolo XI
L’usignolo innamorato - Il Ghiro......................................166
Capitolo XII
Gemma.............................................................................189
Capitolo XIII
Roma… Roma… Roma...............................................203
Capitolo XIV
Commerciante di castagne...............................................219
Capitolo XV
Annata memorabile..........................................................241
Capitolo XVI
Ai Mercati Generali - Giulia e Sora Rosa.......................259
Capitolo XVII
Zì Peppì… addio!............................................................295
Capitolo I
Zì' Peppino
Gillo si svegliò sereno e felice.
Sapeva che anche lei provava un sentimento simile al suo.
Gemma lo aveva abbracciato, l’aveva esplorato fissandolo negli occhi e i suoi erano scintillanti.
Non solo Gemma si era aperta dichiarando il suo sentimento per lui, ma gli aveva anche regalato un
enorme credito di certezza: “…e per tutto il tempo che non ci vedremo, io ti sentirò sempre vicino a me”.
Certo, nei giorni seguenti, ogni tanto aveva voglia di vederla, di incontrarla, di parlarle, ma questi desideri non gli creavano malumore.
Pur avvertendo simili aspirazioni, non percepiva più dentro di sé quell’inquietudine, quella sorta di smania al pensiero di Gemma.
Da tempo ormai era succube di un’ansia tossica, apportatrice di torpore e distacco dagli avvenimenti.
Gillo si sentiva veramente diverso. I dubbi che lo avevano frenato erano scomparsi.
Aveva la stessa sensazione che possono avere i reclusi quando sono liberati dai ferri alle caviglie.
Sentiva di non avere impedimenti, e aggrediva il da farsi con fiducia e positività.
Il lavoro dei campi era nei momenti di massimo impegno e lui non era certo il tipo da risparmiarsi.
Presto sarebbero anche iniziati i raccolti dei legumi e del grano.
Assieme al padre, arrivava in campagna alle prime luci dell’alba, e abbandonava l’aia dopo il tramonto.
Solo la domenica era giorno
di riposo dai campi. Ma bisognava, comunque, accudire agli animali nella stalla e il maiale nella stalletta sulla salita del Pierino, a circa metà strada tra casa ed il Pantaniccio.
Presto per Gemma sarebbero arrivate le vacanze e quindi avrebbe avuto maggiori opportunità per incontrarla.
Intanto la prossima domenica, assieme a Neno e Leone, era previsto di salire sull’enorme faggio per vedere se i pulcini del falco fossero cresciuti abbastanza da tentare di prenderne uno.
Lui li conosceva bene i falchi, ma la sua vista ora non lo aiutava, il nido era troppo in alto.
Per lui le cime dei faggi erano sfumature di confine fra cielo e alberi.
Chiazze verdi che si diluivano e confondevano nell’azzurro d’un estate incipiente.
Gillo venne a conoscenza della sua debolezza visiva proprio nel cercare questo nido di falco.
Furono Neno e Leone a metterlo davanti alla disgraziatissima realtà.
Non aveva mai badato alla sua limitazione perché, senza difficoltà, trovava nidi di merli, verdoni e di fringuelli.
Nessuno e neppure lui s’era accorto di non aver avvistato mai un nido di cincia, di capinera o di regolo.
Infatti, un capo si occupava di avvistare solo nidi di uccelli di un certo pregio, lui non si poteva abbassare a segnalare nidi di uccellini insignificanti.
Per Gillo fu molto triste accorgersi di non vedere un nido di falco.
E’ vero, era stato costruito su uno degli alberi più alti, e alloggiato sulle ultime inforcature dei rami di faggio.
Anche se avvolto nel fogliame, era pur sempre un nido di falco…
anzi, non un falco qualsiasi ma di una Poiana, ovvero uno dei più grossi falchi nella zona.
Neno e Leone erano di guardia, e dovettero aspettare fin oltre l’ora di pranzo prima di essere certi che maschio e femmina si fossero effettivamente allontanati entrambi dal nido.
Allora Neno decise di svegliarlo tirandogli la giacchetta e dicendo:
“Forse ci siamo… Leone, tu che dici? A me sembrano andati nella stessa direzione…”
“Bah!” fece Leone “con tutto questo fogliame non potrei essere proprio certo.
Se uno dei due facesse solo un giro per sgranchirsi invece di andare a prendere cibo, allora noi rimarremmo fregati…”
Quando Gillo sentì queste argomentazioni si alzò di scatto dicendo:
“Andiamo, andiamo a vedere subito.
Quando i figli iniziano ad essere grandi hanno bisogno di parecchio cibo e quindi i genitori sono costretti a cacciare entrambi e di continuo.
Sicuramente sono lontani, ma comunque dobbiamo fare prestissimo e silenziosamente… Forse è meglio se salgo solo io…”
“Sono molto curioso di vedere i pulcini, salgo anch’io, ma dopo di te.” Disse Leone decisamente.
Gillo non vedeva il nido, ma sapeva di dover salire quasi sino alla punta dell’albero.
Prima o poi i suoi occhi sarebbero riusciti ad individuarlo. Leone lo seguiva dappresso.
“Ecco, sì si, adesso lo vedo, accidenti… ma è enorme!”
Gillo, aggrappandosi ai rami, con balzi decisi arrivò a portare la testa oltre il nido.
I falchetti erano tre e molto sviluppati. Avevano il becco ricurvo di un giallo intenso.
Il corpo era prevalentemente coperto di penne
tranne sulla testa e sulla coda dove spuntava un fine piumaggio giallastro.
Gillo si complimentò con se stesso, le previsioni del loro sviluppo erano state perfettamente centrate.
Si mise a cavalcioni su un ramo e dal tascapane tirò fuori il fazzolettone solitamente usato per mettere il pranzo.
Scelse il più grande dei tre pulcini e, dopo averlo avvolto nel fazzolettone lo ripose nel tascapane che aveva a tracolla.
Nel discendere disse a Leone che lo aspettava subito al disotto:
“Non toccare niente. Ai genitori ne mancherà uno e se sentono l’odore dell’uomo possono spaventarsi e fuggire via abbandonando gli altri due.
Guarda soltanto e vieni via subito.”
Gillo per scendere adoperò una tecnica diversa.
Stringeva il tronco sia con le gambe che con le braccia e, mentre lentamente scivolava in basso,
ogni tanto si fermava appoggiando i piedi sui rami.
Infine si mise penzoloni con le braccia attaccate sull’ultimo ramo e si lasciò cadere sul fogliame della faggeta.
Leone era subito dietro di lui, intanto si era avvicinato Neno dicendo:
“Dai, fammelo vedere …”
“Dopo, dopo… quando saremo fuori di qui” disse Gillo allontanandosi a lunghi passi nella discesa in direzione del bosco di castagno selvatico.
Una volta al riparo della boscaglia si fermò e tolse il tascapane dalle spalle.
Anche lui era curioso di guardalo meglio.
Mettendo una mano nel tascapane si sincerò di aver ben afferrato entrambe le ali attraverso il fazzolettone e poi, con accortezza lo tirò fuori.
Era veramente un bell’esemplare anche molto vispo.
“Con la testa così eretta dà il senso della fierezza di una femmina impettita.”
Poi guardandoli con superiorità continuò:
” Lo sapete perché dovrebbe essere una femmina?... “
“Proprio una femmina eh! Gli hai forse guardato in mezzo alle gambe?”
Rispose provocatorio Neno.
“Beh, ve lo dico io… questo era molto più grande degli altri due!
E, diversamente rispetto ad altri uccelli, le femmine dei falchi, sono molto più grandi e robuste!” sentenziò
Gillo riponendolo subito nel tascapane.
Poi via di corsa a casa……
Dopo tre mesi circa aveva perduto tutte le piume e ora aveva solo penne.
Non aveva più bisogno di essere imbeccato, ormai si alimentava da solo.
Se la preda era abbastanza piccola la ingoiava interamente, altrimenti la dilaniava col becco uncinato aiutandosi con gli artigli.
Era un esemplare di Poiana veramente bello, ma per vedere la sua definitiva dotazione di penne bisognava aspettare la maturazione sessuale.
Per Gillo fu un’estate meravigliosa.
Lavorava allegro e spensierato.
Il poco tempo libero lo dedicava all’addestramento del falcone.
La domenica pomeriggio la passava con Neno e Leone giocando a bigliardo.
Un giorno il padre gli disse:
“In ottobre manderemo alla macellazione il torello, così avremo da vendere il latte; a fine anno sarà una bella entrata.”
Andrea, quasi stesse pensando a qualcosa, smise di parlare poi seguitò:
“Zì Peppino mi ha chiesto di dargli una mano nel magazzino delle castagne perché il lavoro gli è aumentato, ha bisogno di personale di fiducia.
Non gli ho detto né sì né no. Poi m’è passata per la testa l’idea di mandare te al posto mio…”
Andrea si fermò per scrutare il tipo di reazione del figlio mentre aggiungeva:
“Che ne pensi?”
“Per me va bene; tanto da ottobre in poi c’è poco lavoro, rimangono solo le olive…” rispose Gillo
“Penso che ti darebbe anche una buona paga… certo, i primi tempi dovrai abbozzare… “
“Forse il lavoro delle castagne mi potrebbe piacere”
Zì Peppino aveva qualche anno in più dei sessanta e un’aria severa.
Non incuteva timore, ma a prima vista non era certo il tipo da emanare grande simpatia.
Per il fatto di non avere neanche un capello in testa non toglieva mai il cappello ed a riguardo era solito dire:
“D’inverno mi riscalda il cervello e d’estate evita che mi si riscaldi” .
Agli occhi di Gillo, l’altra particolarità di Zì Peppino era un pancione oltremodo appuntito, accentuato da una grossa fibbia di ottone nella cinta dei pantaloni.
In famiglia tutti lo chiamavano “Zio” ma in realtà non era uno zio vero e proprio.
Era stato uno zio acquisito per aver sposato Mirietta una sorella di Andrea, morta di parto insieme al figlio.
Zì Peppino faceva di cognome Fioretti.
Dopo la tragica morte di Mirietta si trovò a vivere in casa da solo.
Nina la sua unica figlia già da qualche anno aveva abbandonato la casa per seguire un saltimbanco.
Zi Peppino, dopo la tragedia, sparì da Coriliano per parecchio tempo.
Tornava per commerciare castagne e poi a metà gennaio partiva di nuovo.
Solo dopo molti anni tornò a vivere a Coriliano nella sua casa.
Si rinsaldarono, così, gli antichi rapporti di amicizia e di parentela.
Tutto questo avvenne quando Gillo aveva appena un anno e cominciava a caracollare per casa.
Peppino non si dava pace.
Ancora dopo mesi dalla morte della moglie piangeva accoratamente e confidava a Felicetta tutta la sua sofferenza.
In genere si lasciava andare quando Andrea si fermava a lavorare al Pantaniccio e a pranzo erano da soli con il piccolo Gillo.
In uno di questi colloqui Felicetta poté capire appieno come il destino si fosse accanito sul gioviale Peppino.
Fra lacrime e singhiozzi le raccontò come aveva saputo della tresca tra sua figlia Nina ed un saltimbanco di passaggio.
“Se avessi avuto più polso, potevo evitarlo e invece ho lasciato fare.
L’hai mai visto quello spilungone con i capelli ricci ricci che metteva il banchetto ed il lenzuolo col Vesuvio fumante nello slargo della fontana della piazza?”
“Sì’, sì “-rispose Felicetta- “Ho saputo qualcosa… ma ho evitato di conoscere i particolari.
Sai, ogni tanto qualcuna veniva a spettegolare, volevano vedere la mia reazione ed allora ho sempre evitato di ascoltare…”
“Beh, insomma, questo perticone tutte ossa, ma con baffetti da sparviero iniziò a fare gli occhi dolci e complimenti a Nina.
Quando aveva finito di cantare e saltare, sgraziato con zampe da ragno, si toglieva la maschera di Pulcinella e si avvicinava agli ascoltatori chiedendo un contributo col cappello a cilindro.
Quando passava davanti a Nina ritirava il cappello dietro la schiena e faceva un vistoso inchino.
Mi trovai davanti a questa pagliacciata perché Mirietta mi disse che da tre sere consecutive, pur non essendoci bisogno, Nina andava a prendere l’acqua alla fontana.
Allora la seguii e raccontai la faccenda a Mirietta.
Non ci sembrò necessario prendere decisioni particolari tranne dire che l’acqua per varie sere non sarebbe servita.
Questo farfallone non vedendola iniziò a comprare mazzi di rose.
Checco, il giardiniere del comune, ci portava a casa tre-quattro mazzi di rose al giorno finché Mirietta non seppe più dove metterle.
Allora dovetti decidere di prendere il toro per le corna e lo andai a cercare.
Gli dissi che a casa non avevamo più posto per le rose e quindi era il caso che lasciasse stare.
Non smise per niente; iniziò a mandare rose alla scuola di cucito ed anche sui gradini di casa quando Nina, di pomeriggio, si ritrovava a ricamare con le amiche.
Non avremmo mai immaginato che qualche giorno dopo Nina sarebbe scomparsa Abbandonò la casa di notte.
Sicuramente è rimasta abbagliata da quella profusione di rose…
Quante donne saprebbero resistere ad un simile corteggiamento? Da quel giorno il cantastorie non è più ricomparso.”
Si zittì mentre un effluvio di lacrime cadeva libero sul piano del tavolo lasciandolo indifferente ed inebetito.
“Chissà dove sarà ora…. Nina era delicata e dolce, serena, non aveva grilli per la testa.
Chi mai avrebbe potuto immaginare…
quale esistenza può mai condurre la mia piccola Nina?
Quale sarà la vera natura del perticone con i baffetti da sparviero?”
Si girò per guardare verso il camino, poi di scatto puntò gli occhi in quelli di Felicetta:
“Felicè’, lo sai che cosa ti dico?... Ti dico, quello che ho sempre pensato e che ancora oggi mi corrode il fegato.
Se un uomo, per corteggiare una donna la sommerge in continuazione di rose significa che … non ha argomenti migliori…”
Felicetta sgranò gli occhi e gli appoggiò una mano sul suo braccio.
Ma Peppino continuò:
“Io avrei potuto aprire gli occhi e la mente alla mia Nina… ma non l’ho fatto… non sono stato pronto… tempestivo… lei se ne è andata prima. Felicetta!
Ti sei mai chiesta perché voi donne siete così sensibili verso chi vi regala fiori?
E rose in particolare?”
“Beh, Peppì’! Che vuoi che ti dica, è gradito ricevere rose.
Se Andrea porta a casa delle rose mi fa molto piacere, ma perché noi lo apprezziamo così tanto proprio non saprei”.
“Te lo dico io” rispose Peppino con voce roca.
“Quando Andrea porta a casa delle rose puoi esserne ben fiera e felice. Ti dico di più, oltre ad esserne felice è anche giusto mostrarsi riconoscente.
Sapessi come era felice Mirietta quando gli portavo a casa quelle roselline selvatiche gialle, screziate di rosso sul bordo.
Di solito tornando a casa da ‘l’Entèra’ allungavo la strada per andare a passare proprio verso la fontanella delle rose.
Qui mi ingarbugliavo nel roseto cercando di scegliere i boccioli più grandi e non ancora troppo maturi.
Più che un lavoro si trattava
di un martirio.
Le spine ti penetravano nei pantaloni graffiando cosce e stinchi, in certi momenti ti sentivi circondato e ogni minimo movimento ti procurava del male.
Nel coglierle bisogna avere possibilmente delle forbici per tagliare il gambo.
Senza forbici è un’impresa improba.
Bisogna asportare le spine per un bel tratto del gambo almeno abbastanza esteso da poter impugnare il mazzo.
Per far questo, hai idea quante volte ti pungi?
Pensa quanto affetto e quanta dedizione ci vuole per un sacrificio del genere!
Vedi Felicetta, io non penso che quando Andrea ti porta delle rose le vada a comprare da Checco, il fioraio.
Andrea per portare a casa un mazzo di rose, innanzitutto ruba il tempo ad altre faccende.
Per scegliere le migliori non demanda ad altri la raccolta e nel tagliarle si punge con certezza.
Per togliere le spine, affinché tu non ti punga, lui si pungerà sicuramente numerose altre volte.
Una volta composto il mazzo, pensi che sia cosa semplice farlo arrivare indenne sino a casa fra balle, attrezzi, funi e quant’altro?
Ecco perché una donna deve essere ben fiera e felice quando un uomo gli regala delle rose.
È giusto che la donna si esalti di fronte ad un simile dimostrazione di sacrificio del suo uomo. Lui le dona qualcosa di bello solo per celebrare il suo affetto.
Vedi, il sentimento è vero ed ha valore se ci metti qualcosa del tuo essere… non del tuo avere.”
“Penso che tu abbia ragione” disse Felicetta.
“Ora, quale dimostrazione d’affetto ci può essere nell’andare dal fioraio e comprare un mazzo di rose da portare ad una donna?
Si tratta solo di spendere quattro soldi… si tratta di donare un insignificante minimo del tuo avere”.
Poi tutto d’un fiato Peppino continuò:
“Cambia molto se, invece di andare dal fioraio, si va dal pescivendolo a comprare un bel mazzo di aringhe da portare alla tua donna?
... Felice’… mi dai per favore un bicchiere d’acqua, o meglio, di vino?
Vedi mi si è seccato il gargarozzo, sto chiacchierando più di un politico…
Ecco perché è possibile che la mia Nina sia stata tratta in inganno da una simile profusione di rose.
È anche verosimile immaginare che in quei momenti fosse molto invidiata dalle amiche.
Invece, la cosa più facile è che ora si ritrovi in male acque, nelle grinfie di un ossuto sparviero capace solo delle messinscene.”
Si fermò per un attimo, poi la voce divenne più greve:
“Ora sono solo. Vorrei farti una confessione… tu lo sai che non ho voluto vedere morta la mia Mirietta?”
“No, non l’ho saputo, ma non mi sembra importante, forse hai fatto una cosa saggia” rispose Felicetta.
“Vedi…, dei miei due figli, Nina è sparita e Luca, il bambino, non è mai nato.
Ebbene, ti posso assicurare di avvertire la costante presenza di quello che non c’è più.
Grazie a Luca, soprattutto di sera, non mi sento solo come orribilmente avevo immaginato.
Questa è la mia esperienza: i figli che hai perduto per sempre sono quelli che non ti lasciano mai.”
Dopo questa soffertissima confessione Peppino non ebbe più necessità di manifestare le sue angosce.
Zì Peppino continuò a frequentare la casa di Andrea per anni poi se ne andò via da Coriliano.
Ritornava poco prima del casco delle castagne e la settimana prima di Natale partiva di nuovo.
Quando tornava, aveva sempre in mano qualche cianfrusaglia per il piccolo Gillo.
A volte erano giocattoli sorprendenti, soprattutto quando tornava da posti lontani; ogni tanto aveva l’impulso di giocare con il piccolo Gillo ma subito divagava.
Dopo molto girovagare decise infine di risposarsi con una delle sue cernitrici; era già oltre la cinquantina.
Una sera mentre erano a cena, ricevettero la visita di zì Peppino e subito Felicetta lo invitò a cenare insieme a loro.
“No, grazie Felice’, ho già cenato.
Io debbo cenare presto perché ad una cert’ora se non butto dentro qualcosa mi sento male…” rispose zì Peppino colpendo il pancione con entrambi le mani.
“Allora prendi un bicchiere di quello rosso, è fresco di cavoletta, l’ho spillato prima di arrivare a casa.” intervenne Andrea.
“Con la calura di oggi un bicchieretto di rosso fresco di cantina ci va preciso.
È pure vero che anche a gennaio, quando fa un freddo cane, un bicchiere di rosso non lo rifiuto mai”.
“Che mi dici Peppì?”
“Ma guarda…, ti ricordi quando ti chiesi di valutare la possibilità di darmi una mano nel periodo delle castagne?”
“Sì certo” rispose prontamente Andrea, “Infatti mi ero ripromesso di venirtene a parlare, ma poi… sai come succede… tra una cosa e l’altra m’è passato di mente…”
“No, non fa niente” lo interruppe Peppino, “Sai… stavo pensando ad un’altra cosa… “
Si arrestò come per cercare le parole giuste poi disse:
” Che ne pensi se, invece di venire tu, proviamo a mettere sotto Gillo?”
Andrea e Gillo si dettero un’occhiata d’intesa e subito Andrea rispose:
“Gillo è ancora giovane… per il momento non può fare lavori pesanti... lui ne avrebbe pure la pretesa, ma i sacchi non li deve ancora toccare.
Per carità, è un ragazzo forte, ma è ancora troppo giovane e la schiena deve diventare più robusta per reggere agli sforzi"
“No no “, lo interruppe di nuovo Peppino, -” a me non serve uno che faccia lavori pesanti, a me serve una persona di fiducia.
Gillo potrebbe essere adatto soprattutto per i momenti in cui mi devo allontanare, Lo vedo sveglio e serio.”
“Sul fatto che sia serio ci puoi giurare” intervenne Felicetta e subito Andrea continuò:
“Beh! In fondo, una prova la si può pure fare. Gillo tu che dici?”
“Se tata dà il permesso, possiamo provare. Si tratta di un lavoro che potrebbe piacermi… mi ha sempre attratto avere a che fare con le castagne.”
“Lo sai Peppì?... questo qui…“-disse Andrea indicando Gillo-” quando aveva quattro anni sapeva già riconoscere i marroni dalle castagne.
Le piante, poi, sono sempre state la sua fissazione.
Pensa, quest’anno voleva fare, lui, le potature…. ma non sa ancora distinguere una pianta di selvatico da quella d’un marrone.
Neno, non ha mai dimostrato lo stesso interesse, Neno è più attratto dalle bistecche e dai cosci di pollo…”
Finì in una risata collettiva con Peppino e Andrea che fecero tintinnare in alto i loro bicchieri in segno di intesa.
Peppino alzandosi scolò il bicchiere, poi mentre se ne andava
aggiunse: “Andrea, gli darò quello che pensavo di dare a te: dieci lire! Va bene?”
“Va bene, va bene. Forse è pure troppo!”
Dopo aver aperto la porta si girò ed esponendo in evidenza il pancione disse:
“Allora buonasera a tutti…. e …a proposito … Gillo noi ci vediamo domattina alle sette al cantinone. Bisogna prepararci in tutto e per tutto anche se ancora non accennano a cascare,”
Richiuse la porta senza aspettare alcuna risposta.
Andrea e Felicetta ma anche Gillo e Neno rimasero silenziosi e sbalorditi.
“A me sembra una buona cosa” fece Andrea rivolto a Felicetta “metteremo in vendita il torello e a mungere Stellina ci dovrà pensare Neno.
Ormai è ora che si dia da fare anche lui… potrebbe occuparsi pure delle necessità della stalla…”
“Che Gillo vada a lavorare con Zì Peppino mi sembra una buona cosa anche per il futuro…” rispose Felicetta “ma Gillo ti da un grosso aiuto in tutto.
Non pensare di sostituirlo con Neno, lui non potrà fare lo stesso lavoro di Gillo perché con la nuova legge Gentile ‘deve’ continuare la scuola per altri tre anni.”
“Sì, va bene, lo so che deve continuare la scuola… ma non penso che per questo non possa mungere Stellina al mattino prima di andare a scuola e la sera prima di venire a cena…
poi, se si vorrà occupare anche della stalla tanto meglio.
Lo sapete che stellina ci può dare come minimo trenta lire al giorno di latte?
Si può fare un piccolo sacrificio anche considerando che Gillo andrà a lavorare nel cantinone solo per il periodo della lavorazione delle castagne.
A febbraio, al più tardi, il lavoro del cantinone sarà finito e lui avrà portato a casa bei soldi! “
Felicetta non aveva nulla da rispondere e comunque anche se avesse avuto altro da dire non lo avrebbe fatto lo stesso.
Quasi improvvisamente Gillo si trovò a lavorare per altri che non era suo padre.
Capitolo III
Gillo fa capolino nel mercato delle castagne.
Quando portò a casa il primo assegno di Zì Peppino, non avrebbe mai immaginato che questa presa di contatto con il mondo delle castagne gli avrebbe condizionato ogni giorno della sua vita.
Anche quando incontrò per la prima volta quegli incredibili occhi di Gemma, neri e scintillanti… mai avrebbe immaginato di trascorrere una giornata senza il desiderio di rivederli.
A fine Gennaio 1925, terminata la stagione delle castagne e chiuso il Cantinone, riprese la sua naturale attività di contadino.
Poi, una delle sere di fine settembre, arrivò la convocazione di Zì Peppino e si trovò di nuovo massivamente coinvolto nella campagna delle castagne.
La ripresa dell’attività del cantinone lo sorprese e lo coinvolse. Zì Peppino, infatti, lo investì subito di impegni e responsabilità organizzative.
Ogni giorno lottava con la smania di andare a cercare Gemma.
Era consapevole che se si fosse aperto almeno con Leone avrebbe avuto qualche opportunità in più di vederla, ma accuratamente evitava di coinvolgerlo.
Lui, così intraprendente e lucido, si paralizzava al solo pensiero di veder compromessa la evidente corrispondenza da parte di Gemma.
Anche nei momenti di maggiore frenesia nel lavoro delle castagne ogni tanto metteva la testa fuori del cantinone nella speranza di vederla passare.
Mentre Zì Peppino girava campagne e paesi limitrofi, in cerca di clienti ed affari, lui era solo a organizzare la lavorazione e a sorvegliare la corretta attività del personale.
Leone e Gillo avevano orari così diversi che non riuscivano mai ad incontrarsi.
Gillo, infatti, lavorava anche di domenica e con lo stesso ritmo si giunse fino a Natale.
Resistette finché poté, poi decise di andare a cercarla.
Era da poco finita la scuola e lei avrebbe completato il secondo anno integrativo; a metà mattina furtivamente si arrischiò a cercarla sull’Uliveto col calesse di Zì Peppino.
Nel passare sotto la finestra della sua cameretta spiccava a grosse lettere una dicitura scritta con gessetti rossi:
SONO ANDATA IN VACANZA AL MARE. Leggere quelle parole fu per lui emozione grande.
Erano sicuramente rivolte a lui.
A chi altri poteva interessare il motivo per cui lei non era in casa?
E soprattutto, a chi non aveva potuto dire dove era andata?
Gillo, grondante di orgoglio, pensò: “Ha trovato un modo meraviglioso per farmelo sapere, sono perfino riuscito a leggere con facilità”.
Gillo si sentì ancor più spronato ad incontrarla prima possibile.
Senza andare sul sottile si sarebbe fatto trovare per strada il primo giorno di scuola del prossimo anno scolastico.
L’avrebbe aspettata nella discesa dell’Uliveto.
“Cascasse il mondo il primo di ottobre io la vedrò.”
Quando Gillo si decise ad informare Zì Peppino di avere bisogno di un po’ di tempo, mancavano ancora sette giorni al primo di ottobre.
Contava i giorni. Se avesse potuto avrebbe fatto anche il
conto alla rovescia delle ore.
Il giorno antecedente l’apertura della scuola si rivolse a Zì Peppino con occhi bassi e voce incerta:
“Domani arriverò al lavoro un po’ più tardi… ma non ti preoccupare…“aggiunse “prima di colazione sarò sicuramente qui.”
Peppino lo fissò negli occhi nel dire: “Non è che devi fare qualche danno… Lo vedi…, ormai stanno arrivando le castagne e tu mi servi…”
“Zì Peppì, ho bisogno solo d’un paio di ore. Prima delle nove sarò sicuramente qui.”
Il giorno dopo, come tutte le mattine, alla solita ora, era fuori casa.
Era vestito come al solito con pantaloni di lana verde scuro, un maglione di spessa lana ed una giacchetta di fustagno invernale marrone.
Era il Gillo di sempre, ma con una pettinatura particolarmente curata.
Presentava, inoltre, una differenza inaspettata: per la prima volta in vita sua si era rasato la barba.
Non era certo una cosa così necessaria.
In realtà, però, c’era stata la crescita di una discreta peluria sui baffi, ai lati delle guance e sul davanti delle orecchie.
Adoperò con estrema prudenza il sapone e il rasoio del padre.
A dire il vero la differenza fra il prima e il dopo la rasatura non fu così evidente da suscitare ammirazione particolare.
Andrea non si accorse di nulla, ma la cosa non sfuggì agli occhi materni.
Il suo piano era trovare Gemma lungo la discesa dell’Uliveto.
Si sarebbe fatto trovare molto in alto, lontano all’incrocio con la via dei Marroni.
Correva il rischio d’incontrare Leone perché, anche
lui come Gemma, iniziava l’ultimo anno integrativo.
La scuola cominciava alle otto e mezzo….
Per incontrare Gemma e non essere visto era quindi indispensabile incrociarla appena iniziava la discesa dall’Uliveto.
Uscì di casa prestissimo e dopo il bivio dei Marroni prese a salire con l’andatura d’una lumaca molto stanca e svogliata.
Una volta giunto alla fine della salita, non solo non l’aveva incontrata, ma non c’era traccia di Gemma neanche in lontananza, almeno fin dove arrivavano i suoi occhi.
Sicuramente era troppo presto e non era ancora uscita di casa.
Allora tornò velocemente indietro lungo la discesa in direzione del bivio con i Marroni, ma se ne tenne ben lontano e defilato.
Riprese a salire non solo a passo di lumaca e, per guadagnar tempo, anche zigzagando lungo la strada, finché da lontano poté distinguere due figure femminili.
Il suo cuore prese a picchiettare, poi la riconobbe assieme ad Andreina. Di slancio prese a salire rapidamente.
Quando furono vicini, lui si trovò le mani intrecciate dietro la schiena nel dire:
“Ciao Gemma, ciao Andreina come va?”
“Bene” rispose Gemma dando un colpo d’occhio ad Andreina che subito esclamò:
“Io intanto corro giù… oggi è il primo giorno di scuola…”
“Va bene“-rispose Gemma- “ prendi il posto pure per me. Io saluto Gillo e arrivo subito”.
Gemma gli fece arrivare la sua mano vicino al bavero della giacchetta di fustagno e lui la prese nelle sue dopo che, goffamente, le aveva liberate dall’intreccio dietro la schiena.
Si guardarono intensamente. Poi Gemma con gli occhi bassi disse:
“Io la magia con le lucciole l’ho fatta… proprio mentre la lucciola volava via…”
“Bene” la interruppe Gillo sorridendo “allora il desiderio si avvererà di sicuro…. Tu come ti senti?
Al mare sei stata bene?
... Sei riuscita a riposarti ed a riacquistare un po’ di salute? Ti ricordi come siamo stati bene la sera delle lucciole?
... Non ti è dispiaciuto restare tanto tempo lontana? Ti è mai capitato di ricordare quella notte?
... Dimmi, è vero che non vedevi l’ora di tornare? Tu che dici, io ti aspettavo?”
Gemma lasciò che la sua mano restasse sequestrata fra le sue enormi dita, ma lo interruppe:
“Come faccio a risponderti se non ti stai zitto un attimo?”
Gillo rimase di sasso e non ebbe più coraggio di guardarla, ma sentì di nuovo la sua voce:
“Lo dovresti sapere…, per tutto il tempo che non ci siamo visti, io ti ho sentito sempre vicino a me!
Allora, come posso essere stata male?”
“È vero, io ti vedo ancora più bella di sempre… ma non so se sei del tutto guarita, la tua malattia sta migliorando… dimmi che ti senti meglio…, il mare ti ha fatto bene? ...”
“Fermati, fermati, altrimenti tu rincominci con le domande. Ho solo piccoli dolori ogni tanto.
Un po’ di peso l’ho recuperato, ma poco… qualche chilo…, i medici del San Camillo dicono che ci vuole parecchio tempo.”
“Gemma, noi di tempo ne abbiamo tanto, allora guarirai di sicuro”.
“Senti Gillo, adesso è meglio che io vada giù.
Siamo già stati fortunati che non sia passato nessuno…”
“Ascolta, che ne dici se troviamo il modo di vederci per la notte di Natale?”
“E’ una grande idea! Io, però, non ho fretta…tanto tu mi sei sempre vicino… lo sai che ogni tanto ti parlo pure? … Ciao!”
Era impressionato dalla sua semplicità.
Aveva lasciato a Gemma libero accesso nella sorgente dei suoi sentimenti e lei con facilità allagava di serenità la sua mente.
Per qualche tempo gironzolò lungo la salita dell’Uliveto poi, quando tutti i ragazzi avrebbero dovuto essere entrati a scuola, si diresse senza indugio verso il cantinone.
Inutile dire che Zì Peppino lo aspettava seduto al tavolino vicino alla bascola.
Appena lo vide entrare nella porta lo scrutò da capo a piedi e si soffermò a lungo sulla mancanza di peli sui baffi. Dire che zì Peppino avesse capito tutto è dire troppo.
Non poteva sapere che per Gillo era il primo taglio di barba.
Non poteva neppure sapere che la sua mente era interamente occupata dal volto di una fanciulla, candore di bambina, ma seduzione di donna. Lei aveva ormai quasi quattordici anni.
Zì Peppino capì perfettamente il grosso sforzo di Gillo per contenere il suo imbarazzo, ne ebbe rispetto e Gillo gli fu molto grato…..
Quella notte dell’ultimo giorno di maggio conobbe lo scompiglio di un amore giovanile.
Felicità pura.
Capitolo VIII
Cinque anni in una sola notte
Come nuvole frettolose di marzo
passano gli anni.
Rincorrendosi aprono sprazzi luminosi
giusto il tempo di assaggiare il nuovo sole,
subito una pioggerella intristisce l’aria,
spegne entusiasmi, passioni
… e il tempo va
via.
Secondo il desiderio di Gemma, in una sola notte passarono cinque anni.
Anche oggi, allo stesso modo dei secoli e millenni andati, il tempo passa senza guardare in faccia a nessuno.
E il tempo non ebbe pietà; lasciò passare inverni, primavere ed estati.
Le leggere tramontane d’Ottobre, il turbinio incerto dei venti di Novembre si caricarono delle tristezze e delle indifferenze di Gillo.
Gli autunni di quegli anni furono solo commercio di Castagne e Marroni e volarono via trascinati dai potenti venti del Nord.
Gillo, non ne ebbe percezione, ma ormai era diventato un uomo.
Forte di polsi e di spalle. La spinta dei muscoli delle cosce era tanto energica da farlo camminare con le gambe leggermente divaricate.
Da settembre a febbraio si occupava di Castagne e Marroni.
Non aveva regole, ma di solito iniziava la giornata alle cinque del mattino per terminare alle undici di sera e non sempre.
Ormai era la mente del Cantinone.
Zì Peppino demandava a lui ogni attività, dai rapporti con i contadini fino al controllo della mano d’opera.
Organizzava il lavoro e le spedizioni ai numerosi clienti e ultimamente si era dedicato anche della contabilità.
Zi Peppino l’aveva incaricato di curare i quaderni degli acquisti e delle vendite.
Lui si limitava alla supervisione.
Nonostante il gravoso impegno nell’attività commerciale, molte volte nella giornata il suo pensiero andava a Gemma ma subito un altro argomento lo riportava con i piedi in terra.
L’angoscia per la lontananza non aveva modo di affiorare, restava in un angolo della mente segregata, ovattata, depotenziata e tollerabile.
Ora Gillo aveva ventitré anni e Gemma diciannove………
Gillo e Neno ormai erano cresciuti e quindi su di loro l’influsso della propaganda aveva meno effetto rispetto ai fanciulli.
Anzi, varie volte avevano mostrato insofferenza verso certe manifestazioni di forza del regime e le sue ritualità:
parate, cortei, cerimonie e solennità. Gillo, poi, detestava esercitazioni paramilitari e saggi ginnici soprattutto quelli in piazza.
In modo più o meno velato avevano sempre evitato di essere coinvolti nelle varie celebrazioni.
Un giorno a pranzo, e quindi c’era anche Leone, Andrea prese lo spunto dall’ennesima cerimonia per fare chiarezza su come ci si doveva comportare.
Era il ventiquattro Maggio, giorno in cui il
regime celebrava la Leva Fascista.
Non a caso, per celebrare il fascismo, scelsero la data di una ben più significativa ricorrenza: l’entrata in guerra dell’Italia contro gli invasori austriaci nel millenovecento quindici.
“Ragazzi mettiamoci in testa che ormai non siamo più solo Italiani, ormai siamo italiani e fascisti …”
Andrea si accorse di parlare forte e con tono troppo impositivo.
Allora avvicinò la seggiola al tavolo e sommessamente continuò:
“Ci dobbiamo adattare, dobbiamo far buon viso a cattivo gioco.
Noi stiamo entrando in commercio, non ci possiamo permettere di essere contro il regime.
Ma attenzione!... Questo non significa essere a favore dei fascisti né che diventeremo fascisti.”
Si fermò tenendo l’indice in alto, poi continuò:
“Ragazzi… quando il vento tira troppo forte, le canne si spezzerebbero se non si piegassero.
Loro non rinunciano ad essere canne, non diventano ginestre o salici, restano canne e quando il vento si sarà calmato, torneranno dritte verso il cielo.
Vedete, non mi vergogno a dire di aver deciso di prendere la tessera del fascio…, ma non per questo sono diventato fascista.
Fascista è chi si comporta da fascista! Prendendo la tessera del fascio non sono diventato fascista… anzi grazie alla tessera io mi difendo dai fascisti!
Non ho fatto il giuramento che sta scritto dentro, io ho solo fatto un investimento di dieci lire.
Sì, ho speso dieci lire, ma per me è stato come spenderli per fare un’assicurazione per il futuro.
Mettetevi in testa che è fascista chi fa azioni da fascista non chi ha la tessera del Fascio.
Anche tu Leone, ora che hai preso la via degli studi quando ti chiederanno la tessera non ci pensare due
volte, prendila!
Sono pronto a fare qualsiasi scommessa: tu non sarai mai fascista anche se prendessi dieci tessere.
Io lo so, tu non farai mai un’azione da fascista!”
Guardandosi intorno prese il fiasco del vino e ne fece uscire un po’ in un bicchiere, ne bevve un paio di sorsi.
Andrea era uno di poche parole, le sue corde vocali non erano affatto allenate a lunghi discorsi.
Poi rivolto a Felicetta ed a Gillo disse:
“Non facciamo i Don Chisciotte! Visto come stanno oggi le cose, se ci mettiamo contro il regime ci spezzano e quindi una volta spezzati, quando il fascismo non ci sarà più, non ci potremo più rialzare.
Questi palloni gonfiati prima o poi si sgonfieranno. Prima o poi calerà il sipario su questa farsa.”…….